Gemellaggio con il Festival di Nessiah

Ondine

13 Ottobre 2010

 

In ebraico “Nessiah” significa “viaggio”: avevamo scelto questo nome per il nostro festival perché volevamo costruire una sorta di viaggio ideale nel variegato mondo dell’arte e della cultura ebraica. Fedeli a questo proposito, dal 1996 a oggi abbiamo proposto ogni anno un percorso immaginario, che ha portato il nostro pubblico dall’Oriente in Occidente, seguendo le tracce del popolo ebraico dal Medio Oriente in Europa e arrivando fino negli Stati Uniti quest’anno, giunti ormai alla 15° edizione. Il Premio Exodus, invece, commemora ogni anno un viaggio reale, accaduto in un luogo preciso in una data precisa, e in seguito entrato, grazie alla letteratura e al cinema, nell’immaginario collettivo. I due eventi sono uniti non solo dalla vicinanza geografica dei luoghi dove si svolgono, ma anche dal messaggio di pace che portano al pubblico, ciascuno nella propria modalità. Il premio Exodus collega il passato sempre più remoto con il presente, purtroppo ancora carico di tensione e odio, ricordando l’episodio che ha fatto affiorare, dopo lunghi anni di guerra e sofferenza, un atteggiamento umano della popolazione spezzina che assiste i fuggiaschi nel loro lungo viaggio dalle rovine della Germania nazista verso la terra promessa. La storia è una parte indissolubile del presente, per questo il Premio celebra coloro che, ciascuno nel proprio ambito, continuano a combattere, mettendosi in gioco in prima persona per dare visibilità a quei gruppi etnici e sociali che il mondo tende a dimenticare.

Nessiah” ha scelto un modo diverso per combattere i pregiudizi e le divisioni sociali: recuperiamo il patrimonio artistico ebraico, scegliendo i migliori artisti e il repertorio sempre più ricercato, lo offriamo al pubblico di Pisa e della costa tirrenica, permettendogli di assaporare la musica, la pittura, il cinema relativi al mondo ebraico. Poi tocca a ciascuno di loro, una volta concluso il Festival, riflettere sulle sensazioni e sulle informazioni percepite, trarre le conclusioni e allargare i propri orizzonti.

Per questo le due iniziative possono e devono associarsi: ciascuna ha un proprio linguaggio espressivo, ma il messaggio trasmesso è in sostanza lo stesso: un lucido ricordo del passato, dei suoi momenti gloriosi o drammatici, che serve da monito nel presente.

Si potrebbe domandare: perché proprio il popolo ebraico viene posto al centro delle due iniziative? C’è bisogno di concentrarsi su una singola cultura per portare l’attenzione sul messaggio di tolleranza e pace? Perché assumono importanza a livello locale e riscuotono interesse fra il pubblico le iniziative che riguardano una minima fetta della popolazione cittadina?

Non è solo questione di moda, come testimonia il perdurare delle due iniziative nel tempo. Non è dovuto solo all’infinita ricchezza di influenze che vengono assorbite e trasmessi dagli ebrei nel loro eterno vagabondare, che intreccia la storia della cultura mondiale al contributo apportatoci dagli ebrei, o vice versa, l’influenza delle società circostanti con la cultura ebraica. È che la parabola della storia degli ebrei li rende una sorta di modello perfetto di un gruppo perseguitato, maltrattato eppur estremamente vitale, che dimostra che ogni trauma può essere superato se ci sono i meccanismi di coesione all’interno del gruppo, siano essi valori religiosi, culturali, etici o semplicemente legami affettivi fra le persone. Questo gruppo, a differenza da molti altri, ha la fortuna di avere una voce propria, di avere degli strumenti per comunicare con il mondo, di conservare la propria memoria e di guardare al futuro, dando esempio di una resistenza plurisecolare alle pressioni esterne. Noi crediamo che la ragione dell’interesse del pubblico, che sta alla base dell’esistenza delle due iniziative, sia da ricercarsi proprio in questa presenza di universalità nella specificità, propria della cultura ebraica, unita ad una certa distanza spazio-temporale che accende la fantasia.

 

Andrea Gottfried

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