Anna Foa: L’esilio come opportunità letteraria

Ondine

18 Ottobre 2010

 

La dispersione del popolo ebraico nella storia è stata definita “esilio” tanto nella cultura religiosa ebraica (con il termine galut) quanto in quella cristiana, dove l’esilio era visto come una punizione per il mancato riconoscimento del Messia. L’esilio degli ebrei, unica minoranza consentita in seno alla cristianità, è divenuta metafora dell’essere in minoranza, dell’essere sul confine, della non appartenenza. Contemporaneamente, il progetto di salita in Eretz Israel proponeva un contro-esilio, dando una nuova versione dell’esilio, laica e non più religiosa ma non per questo meno negativa: una storia da cancellare. Pure, i momenti volontari, creativi, dell’esilio ebraico sono stati molti, fin dall’antichità per finire nella grande emigrazione nelle Americhe, mentre il contro-esilio, l’esodo sionista, spostava anch’esso, come il viaggio nelle Americhe, masse di ebrei che sceglievano, come Abramo, di rompere con il passato. L’esilio diventava esodo volontario, scelta. E forse anche l’uso metaforico dell’esilio, il suo essere divenuto un paradigma del distacco e dell’esodo, richiama a questa valenza positiva dell’essere tra le culture, si appella ad  un’appartenenza aperta, gambe non radici per dirla con George Steiner,  e porta con sé una richiesta forte di accettazione e di convivenza.

Anna Foa: Storica; Scrittrice, è professore di Storia moderna presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Specialista di storia sociale e culturale e di storia degli ebrei, è autrice tra gli altri del volume sugli Ebrei in Europa -dalla Peste Nera all’emancipazione. Rappresenta una delle più autentiche ed acute voci di testimonianza della realtà ebraica del nostro tempo.

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