Cronaca4: Premio EXODUS | Liliana Segre, il racconto dell’indicibile
22 Ottobre 2010
Immagina una giovane donna, sola, di una solitudine che non si può descrivere, impaurita, con una paura che non si può dire. Questa donna ha sopportato ogni cosa. E’ stata privata di tutto. Della sua famiglia, della sua casa, delle sue cose. Del suo nome. Della sua identità. Questa donna ha fame, una fame che non si può raccontare. E ha freddo, un freddo che non si può dire.
Questa giovane donna è nuda. Completamente. E’ in fila con altre donne completamente nude. Giovani, vecchie. Madri, nonne, figlie. Spose. La fila procede, ed il terrore con essa. Le donne sfilano, ad una ad una, sotto gli occhi del Dottor Meghele e di due ufficiali delle SS. Occhi che raccolgono un gelo indicibile, tutto il gelo dell’universo, che non si può raccontare. Gli ufficiali e Menghele sorridono e passano in rassegna le donne, ad una ad una. Con il sorriso le controllano in ogni orifizio, come si fa ad una fiera per il bestiame. Come animali, queste donne, ad una ad una, sono selezionate. E scelte. Per vivere o per morire. Vivono, se ancora sono in grado di sfiancarsi di lavoro. Muoiono nella camera a gas, se non lo sono. Con un sorriso.
La giovane donna ora è più vicina al momento della selezione ed il terrore aumenta sempre di più, in sincronia con i suoi passi. Ora è ad un soffio da Menghele, lo sente, perchè non lo può guardare, deve tenere la testa china e gli occhi devono fissare il terreno. Adesso è il suo turno. Sente il lattice dei guanti sulla sua pelle sofferente, sente gli sguardi, sente il bastone tra i denti, che esplora la sua cavità orale. Avverte quel sorriso osceno.
Liliana, questo è il nome della giovane donna, in quegli istanti ha un solo pensiero, vuole solo una cosa: vivere. Una volontà più forte del terrore, più forte di tutto. Vivere. Rinascere, superare quella prova significa nascere un’altra volta, ancora. Vivere.
Liliana adesso è oltre Menghele, oltre la fila. Un’altra volta. Ha perso il conto di quante volte è successo, di quante volte ha superato la selezione, scampando alla camera a gas, di quante volte è rinata. Sono viva, sono viva, sono viva, sono viva…
Ieri sera Liliana Segre, ottanta anni, deportata ad Auschwitz ed in altri campi di sterminio, numero di tatuaggio 75190, scampata alla Shoah, ci ha fatto un regalo. Un racconto straziante, commovente, devastante.
Liliana Segre all’epoca aveva 13 anni. Arrestata nel 1943 insieme al padre da finanzieri italiani fascisti al confine con la Svizzera e poi deportata, dal suo ritorno dai campi di sterminio gira in lungo ed in largo il nostro Paese nelle scuole, nei teatri, nei palasport per raccontare, testimoniare, conservare la memoria di quell’orrore.
Queste sono le sue parole, le riportiamo senza commenti, che non servono. Solo con umiltà, rispetto e gratitudine.
“sono una nonna testimone, siamo pochi i testimoni, siamo sopravvissuti non solo alla Shoah ma ad un’epoca. E’ difficile trovare le parole per raccontare quella storia, oggi, ai giovani, che hanno altri linguaggi, ma io privilegio sempre la speranza, la forza di andare avanti, che ognuno di noi si è imposto nei lager, che è stata decisiva. E’ questo il messaggio, la forza della speranza.”
“tutti noi sfuggiti alla Shoah abbiamo chiamato i nostri figli con i nomi dei nostri genitori uccisi, una sovrapposizione, mio papà è oggi mio figlio. Ad Auschwitz io e mio padre siamo stati separati e non ci siamo mai più rivisti. Sono rimasta da sola, senza niente, in diversi campi di sterminio, ho sopportato ogni cosa. La solitudine è stata la costante di quella vicenda. La testimonianza è cercare di raccontare l’indicibile, il genocidio è il peggiore dei delitti, si uccide qualcuno perché è, perché è nato.”
“Gli indifferenti non sono meno colpevoli dei carnefici. Nessuno si è messo di fronte ai quei camion, nessun ferroviere ha mai fermato uno dei treni diretti ai campi.
Ai giovani dico che dovete fare sentire la vostra voce, per non seguire l’esempio dell’indifferenza degli adulti.”
“Ognuno di noi, quelli che hanno visto e vissuto quelle cose non possono raccontare tutto, nessuno di noi racconta tutto, perché non ci sono le parole, la forza fisica per raccontare. Abbiamo lottato tutta la vita con quei fantasmi e continuiamo a farlo.”
“E’ meraviglioso quello che hanno fatto gli spezzini, un abbraccio senza calcolo, gente bombardata, poverissima che aiuta i sopravvissuti. Quelli sono i giusti, quelli che senza pensare fanno ciò che gli detta la loro coscienza. Per questo i giusti hanno così tanto onore in Israele. Io di giusti ne ho conosciuti pochi.”
“Nelle varie età di questa mia lunga vita, adesso che ho ottanta anni, quando vado invitata io voglio sempre parlare dei vecchi deportati. I vecchi. Erano persone comuni, inermi, indifese.”
“Priebke se si ferma a riflettere sarà prigioniero di se stesso, non importa se sta dentro o fuori il carcere. Io non posso perdonare, non parlo mai di odio e di vendetta, preferisco essere stata vittima che carnefice, ma non posso perdonare, non posso dimenticare. I fascisti repubblichini non si possono dimenticare, aiutanti zelanti e volenterosi dello sterminio. Non posso perdonare per quelli che non sono tornati, che sono i veri testimoni, che hanno passato la porta della camera a gas.”
“Immaginate cosa doveva essere la nudità per una donna in quegli anni, una donna che si deve denudare completamente, di fronte ai soldati, come un animale. E’ una tale umiliazione e persecuzione una donna nuda di fronte ad un uomo in divisa. Lo stupro non è avvenuto solo perché gli ariani non potevano accoppiarsi con le donne “inferiori” di razza. Solo per questo. Tutto il resto è avvenuto.”
Marco Ursano
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