Mieli:

Ondine

17 Novembre 2012

 

Intervista all'ex direttore del Corriere della Sera, Premio Exodus 2012. Sugli scontri in Medio Oriente: "Il mondo veda ragioni e torti di entrambe le parti".

 


Venerdì 16 novembre 2012 alle 18:52:53
La Spezia
 – Lunedì pomeriggio la dodicesima edizione del Premio Exodus raggiungerà il suo apice con la consegna del riconoscimento a Paolo Mieli, ex direttore de La Stampa e Corriere della Sera, attuale direttore di Rcs libri e storico. Un conferimento dovuto all'attenzione costante e particolare che Mieli ha dedicato alla questione ebraico-israeliana con molti saggi e articoli.

Al termine della cerimonia Mieli terrà una lectio magistralis di drammatica attualità sul tema 'La sinistra italiana e la questione ebraico-israeliana', che assume una particolare valenza vista la nuova esplosione della violenza in Medio Oriente.



Abbiamo raggiunto telefonicamente Mieli, figura di riferimento della carta stampata e della storiografia italiana, per porgli alcune domande.



Per cominciare: complimenti per il Premio Exodus… 

"E' un riconoscimento particolarmente significativo per tanti motivi, perché questo premio in onore di una parte della mia storia familiare e personale e per il momento nel quale viene. Exodus è un premio di pace e collaborazione tra i popoli e in questo momento la pace sembra correre seri rischi. Per cui è bello, per un giorno potersi fermare e parlare di come tutto ebbe inizio, in onore del fatto che proprio dalla Spezia partirono le navi per i territori che oggi accolgono lo Stato di Israele. Bisogna ricordare lo sforzo fatto dai portuali spezzini non solo come storia edificante, ma anche in relazione ai rapporti tra la sinistra e Israele che negli anni successivi divennero molto complicati: ci fu un'epoca, nell'immediato dopo guerra, in cui parlarono più i cuori delle appartenenze politiche. Ci fu un grande afflato di unione tra i popoli che avevano lottato contro la dittatura nazifascista e si seppero accantonare i motivi di divisione che si sarebbero riaffacciati successivamente".



Le notizie di queste ore impongono una riflessione sulla questione israelo-palestinese. Ancora una volta sembra non poterci essere pace.

"E' una situazione che ha evidenti radici locali, ma c'è anche un difetto di attenzione da parte delle opinioni pubbliche occidentali. Oggi la situazione si è inasprita a causa dell'uccisione di Ahmed Al-Jaabari, leader militare di Hamas, ma prima di questo c'era stato il lancio di oltre 100 missili palestinesi partiti da Gaza verso Israele, sino a Tel Aviv. Quello che mi colpisce è il totale silenzio al quale si è assistito nel primo tempo, mentre i riflettori si accendono quando c'è la reazione, a volte molto dura, di Israele nei confronti di Gaza. La continua disattenzione nei confronti degli attacchi subiti dal popolo israeliano contribuisce a creare certe condizioni. Forse, se i media fossero più attenti al primo tempo si eviterebbe il secondo. Abraham Yehoshua, tra i più grandi scrittori israeliani, e pacifista, dopo l'attacco che ha causato la morte di Al-Jaabari ha detto che non servono più gli attacchi mirati, che Israele non può trattare con Gaza come con un territorio occupato da terroristi, ma come un territorio avversario, dove c'è un governo responsabile delle sue azioni, eletto dai suoi abitanti. La giornalista di Repubblica, Francesca Cafferi, ha posto il problema delle vittime tra i civili e Yehoshua ha risposto che è il popolo che ha scelto Hamas e ha aggiunto chiedendo cosa accadrebbe se un domani ad attaccare fosse la Cisgiordania o altri stati autonomi. Questo per dire che anche tra gli esponenti più democratici di Israele c'è chi si sente circondato e impossibilitato a vivere con il terrore degli attacchi improvvisi. Il mondo intero dovrebbe porsi il problema dei missili di Gaza, oltre a quelli di Tel Aviv. La cause della crisi mediorientale vengono da lontano, ma è giunto il tempo in cui si vedano ragioni e torti di entrambe le parti".



Oltre alle vicende umane, il Premio Exodus ha riportato alla luce anche il fatto particolare che nelle carte israeliane la città della Spezia sia indicata come 'Porta di Sion'. Un episodio unico al mondo.

"Si tratta di una menzione fatta da parte degli israeliani in onore della città, per la particolare vicenda. Al termine del secondo conflitto mondiale moltissimi ebrei reclusi nei lager arrivarono nel golfo spezzino, trovando una città dalla quale si è aperto il mondo. Nei tre anni compresi tra l'estate del 1945 e la primavera del 1948 oltre 23mila ebrei lasciarono il porto della Spezia, una cifra imponente che rende l'idea dell'operazione eroica compiuta grazie al sostegno della gente spezzina. E si tratta di un caso unico di fratellanza da parte di persone non ebree nei confronti degli ebrei. Per questo è importante il Premio Exodus, che commemora un esempio di solidarietà che fa onore alla Spezia, protagonista della storia europea".



Memoria e dignità sono le parole chiave dell'edizione 2012 del Premio Exodus. Due concetti che richiamano anche il mancato rispetto delle sentenze sulle stragi naziste del tribunale militare della Spezia. Come pensa si debba proseguire in questa strada?

"Penso che la memoria deve essere qualcosa di profondo e radicato, che non ha a che fare con la sola parte giudiziaria. Quando si entra nell'ambito della giustizia bisogna accertare le singole responsabilità delle persone, ma la giustizia risente dei tempi. In alcuni periodi ci può essere maggiore sensibilità su alcune questioni, in altri meno. E' possibile che determinate questioni vengano relativizzate ma si entra in un comparativismo giudiziario di cui non si conosce la porta d'uscita: non si possono mettere a confronto numeri e morti. Sono favorevole a distinguere la memoria dagli esiti delle inchieste. Dopo quasi settant'anni chiedere un risarcimento alla Germania è ancora possibile, ma bisogna seguire un iter proprio della questione. La memoria, quella dei film, dei libri, quella che si insegna a scuola, deve essere libera dal rapporto con le vicende giudiziarie. Sono per metà di famiglia ebraica e molti dei miei parenti sono stati massacrati nei lager nazisti, ma posso anche dire no al fatto che un vecchio di novant'anni venga messo in cella. Quello che mi interessa maggiormente è che la Shoah sia rappresentata per quello che è stato. Nell'applicazione delle leggi sono disposto a dare spazio alla pietà, ma nella memoria è necessaria la massima fermezza, senza lasciare spazio alla minimizzazione. A chi vuole negare l'olocausto non si dia la possibilità di affiggersi la patente di martire per non aver potuto esprimere la propria opinione, ma si controbatta con seri argomenti storici. Infine aggiungo che non comprendo la solidarietà che spesso viene mostrata verso gli ebrei morti e la superficialità nei confronti di quelli vivi. Ci si strugge per le vittime dell'Olocausto e si accetta che ci siano Stati come l'Iran che hanno nella loro carta costituzionale la distruzione di Israele come obiettivo nazionale. Preferirei un capovolgimento: maggiore flessibilità giuridica sul passato e meno per il presente. L'ipercommozione verso i morti che furono e l'indifferenza per quelli di oggi lasciano pensare".



Che cosa insegna Exodus oggi, in un Occidente dove la crisi economica sta creando tensioni sociali sempre più preoccupanti?

"La vicenda di Exodus da una lezione al mondo e la storia della Spezia in quei tre anni è fondamentale nella dimensione della sorpresa. I portuali spezzini potevano attenersi alle disposizioni internazionali, come è stato fatto altrove. Invece una popolazione, che non sapeva nulla delle stragi nei campi di concentramento, si è interrogata nel cuore e ha dato una risposta oltre le leggi, a favore di una causa a fin di bene. Exodus insegna che a volte, in nome del buonsenso, le parti in opposizione, senza cedere nei loro connotati, possono tendersi la mano e compiere sforzi comuni per realizzare cose di cui i posteri saranno riconoscenti. Oggi le popolazioni europee dovrebbero trovare la forza per comportarsi come fece la città della Spezia, mettendosi sotto braccio e senza darsi colpe gli uni agli altri. Exodus insegna che il progresso è fatto anche di eccezioni e di scoprire la capacità di abbandonare le appartenenze per stringersi in un unico sforzo".



I giovani spezzini, al pari di molti coetanei italiani, sono costretti ad un 'esodo' che ha motivazioni differenti rispetto alla vicenda di cui stiamo parlando, ma che ha ugualmente come obiettivo quello di un domani migliore.

"Chi dice che tutti devono rimanere dove hanno radici? Nel 1881 chi lasciava il Meridione per le città del nord o per le Americhe compiva viaggi ben più perigliosi. Non so se sia un male che i giovani si sentano costretti a dover andare altrove, non vedo grande differenza con le correnti migratorie del passato. Oggi anche dal Nord Italia ci si sente costretti ad andare all'estero per lavorare e costruirsi un futuro, eppure ci sono tanti lavori che i giovani italiani non fanno più. Si espatria non per mancanza di lavoro, ma per un desiderio di emancipazione non per forza negativo. Ed è normale che in un'ottica di 'Stati uniti d'Europa' ci siano stati che fanno da calamita, come è stato in passato per le città del Settentrione. Exodus, semmai, mi fa venire alla mente le navi cariche di immigrati che vengono in Italia e il problema di come accoglierli: sono necessarie tolleranza e fratellanza per chi arriva. Serve un mondo che possa armonizzare questi fenomeni, un mondo migliore. Quello per il quale voglio lavorare".



Nel 2006, da direttore del Corriere, manifestò il suo appoggio al centrosinistra di Prodi. Lo rifarebbe? E come vede lo scenario politico attuale?

"La scena politica è in disordinata evoluzione, è quasi impossibile fare previsioni. Oggi si immagina che il centrosinistra con Bersani possa vincere le prossime elezioni e trovarsi molte gatte da pelare, ma se questa sera Monti decidesse di presentare una lista a suo nome tutto cambierebbe. I media non spostano i voti, nel 2006 feci l'endorsement per una questione di chiarezza nei confronti dei lettori, come accade nel mondo del giornalismo anglosassone dove una testata, invece di fare la furba fingendo di essere neutrale, dichiara apertamente per chi consiglia di votare, sottoponendosi, tra l'altro, al giudizio dei lettori. E' una forma deontologica di pulizia professionale, un po' come giocare a carte scoperte. La mia posizione personale era già nota e, ribadisco, fu fatto per chiarezza, non per spostare voti: i giornali possono poco in questo senso. All'epoca ci furono polemiche perché Prodi vinse per 24mila voti, uno scarto ridottissimo e allora, forse, per la prima volta l'endorsement del Corriere potrebbe aver inciso. Detto questo, credo che lo rifarei, perché ho carattere, pur sapendo di andare incontro a molti più problemi di quelli che avrei immaginato: feci fatica a far accogliere la mia scelta. Credo inoltre che ogni tanto i giornali italiani dovrebbero replicare quel gesto, manifestando ai lettori la propria posizione: è una terapia a vantaggio dell'informazione e rafforza l'identità della testata".
THOMAS DE LUCA
 
 
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